EUDR: domande e risposte

A quali prodotti si applica il Regolamento (UE) 2023/1115 (EUDR)? 

Il regolamento si applica a due categorie di prodotti: 

  • le “materie prime interessate” ossia bovini, cacao, caffè, palma da olio, gomma, soia e legno 
  • i “prodotti interessati” ossia i prodotti elencati nell’allegato I che contengono o che sono stati nutriti o fabbricati usando le materie prime interessate (tra queste ritroviamo ad esempio cuoi e pelli di bovini, cioccolata e preparazioni alimentari che la contengono, caffè, pneumatici, lavori di gomma, pannelli di fibre di legno, mobili di legno, libri e prodotti per la stampa di carta non riciclata)

A quali condizioni è possibile importare o esportare tali prodotti?

Per poter importare o esportare i prodotti interessati è necessario che essi: 

  • siano a deforestazione zero 
  • siano stati prodotti nel rispetto della legislazione pertinente del Paese di origine 
  • siano stati oggetto di una dichiarazione di dovuta diligenza 

Per provare che i prodotti rispettino tutte queste condizioni, gli operatori dovranno esercitare la dovuta diligenza ai sensi dell’art. 8 del regolamento prima di immetterli sul mercato o esportarli.  

L’estensione degli obblighi di dovuta diligenza varia a seconda che l’operatore sia o meno una piccola o media impresa (PMI). 

Quando entra in vigore il Regolamento EUDR? 

Il Regolamento è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 9 giugno 2023 ed è entrato in vigore il 29 giugno 2023. Tuttavia alcune norme elencate all’art. 38 paragrafo 2 saranno applicabili a partire dal 30 dicembre 2024 in generale (periodo transitorio di 18 mesi) e dal 30 giugno 2025 per le piccole e medie imprese (periodo transitorio di 24 mesi).  

Le piccole e medie imprese che commercializzano i prodotti di legno ai quali si applica il Regolamento UE 995/2020 (EUTR) sono escluse da tale proroga: per esse vale il termine del 30 dicembre 2024. 

Agli articoli in legno assoggettati al regolamento EUTR che sono stati prodotti prima del 29 giugno 2023 ed immessi sul mercato a partire dal 30/12/2024, continueranno ad applicarsi le disposizioni di tale regolamento fino al 31/12/2027. Dopodiché si applicherà anche ad essi il regolamento 2023/1115 (EUDR). 

Sono previste esenzioni in base alla quantità o al valore? 

Non esiste una soglia di volume o valore di una materia prima o di un prodotto interessato, anche all’interno di prodotti trasformati, al di sotto della quale il regolamento non si applica. 

Esiste una esclusione per le merci prodotte interamente a partire da materiali che hanno contemplato il loro ciclo di vita e che altrimenti sarebbero stati smaltiti come rifiuti (materiali riciclati). 

Sono esclusi anche i prodotti che non sono scambiati nell’ambito di una attività commerciale.

Come va compilata una dichiarazione di dovuta diligenza? 

Le informazioni da includere nella dichiarazione di dovuta diligenza richiesta conformemente all’art. 4, paragrafo 2 del regolamento EUDR sono elencate nell’allegato II. Tra queste, particolarmente critica risulta essere la geolocalizzazione di tutti gli appezzamenti in cui sono state prodotte le materie prime interessate. 

La dichiarazione andrà trasmessa al sistema di informazione che la Commissione Europea dovrà istituire entro il 30 dicembre 2024 e al quale gli operatori saranno tenuti a registrarsi. 

Cosa succede se, a partire dal 30 dicembre 2024, non sarà disponibile una dichiarazione di dovuta diligenza per i casi in cui essa risulta necessaria? 

Per poter validamente trasmettere una dichiarazione doganale di immissione in libera pratica o di esportazione sarà necessario inserire al suo interno un apposito codice TARIC (C716) con il quale si attesta all’autorità doganale che l’operatore è in possesso della dichiarazione di dovuta diligenza.  

Di conseguenza, qualora non sia possibile inserire il codice C716 (oppure un altro codice previsto in corrispondenza di una legittima deroga o esenzione) la dichiarazione doganale non potrà essere trasmessa. 

CBAM: i mezzi sono adeguati al fine?

Ormai sono passati più di otto mesi dall’entrata in vigore del Regolamento (UE) 2023/956 del Parlamento Europeo e del Consiglio, che ha introdotto un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM).

La normativa in questione è espressione della politica ambientale dell’Unione Europea e del suo fermo impegno a ridurre del 55% le quote di emissione di gas ad effetto serra (GHG) rispetto ai livelli degli anni ’90, con l’obiettivo ultimo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

Se il fine è più che condivisibile (la gestione dell’emergenza climatica è una questione indifferibile – ne va della vitalità del nostro pianeta), leggendo e rileggendo il regolamento di esecuzione (UE) 2023/1773 della Commissione, i dubbi sull’adeguatezza del sistema architettato dall’Unione Europea sono sempre più insistenti. Soprattutto man mano che ci si avvicina il 31 luglio 2024, data ultima (salvo cambi di rotta) per utilizzare i valori di default ai fini del calcolo delle emissioni di CO₂ degli impianti produttivi coinvolti.

L’intero sistema, che a pieno regime comporterà il pagamento di certificati incorporanti una sorta di “diritto ad inquinare”, poggia su una responsabilizzazione (accompagnata da relativa sanzione) delle aziende importatrici unionali in ordine alla dichiarazione di una serie di informazioni dettagliate e specifiche riguardanti gli impianti di produzione, la loro localizzazione, i percorsi produttivi adottati, le fonti dell’energia elettrica impiegata e in ultima il calcolo della CO₂ rilasciata in atmosfera per produrre la merce soggetta a CBAM oggetto dell’importazione. Possono essere comprese anche per realizzare i c.d. precursori, quando coinvolti nel ciclo produttivo di merci complesse (con la necessità di risalire la supply chain per ottenere tutti i dati necessari)

È evidente la difficoltà di qualsiasi operatore economico (a maggior ragione delle piccole imprese, coinvolte anch’esse nel meccanismo data la franchigia estremamente ridotta di soli 150 € a spedizione dei beni in scope per non ricadere nell’applicazione del regolamento) a ottenere questi dati dal proprio fornitore extra-UE. Fornitore che non ha nessun obbligo specifico di condividerli e che non è passibile di sanzione per questioni di territorialità (fatta salva l’eventuale sanzione “contrattuale”, che è strettamente legata alla forza commerciale della parte che la impone).

Difficoltà che diventa quasi insormontabile quando la controparte contrattuale non è un produttore ma un trader, il quale non avrà nessun interesse a rivelare l’identità del proprio contatto.

Tra l’altro la formulazione stessa del regolamento di esecuzione appare estremamente complessa e frammentata, con continui rinvii ai diversi paragrafi ed allegati che lo compongono. I criteri utilizzati per il monitoraggio, e le formule suggerite per il calcolo delle emissioni presuppongono una specifica competenza tecnica e settoriale.

Vero è che la Commissione ha messo a disposizione degli operatori numerosi strumenti per approfondire la materia: guide, FAQ e videocorsi, oltre ad un template in Excel in favore dei gestori degli impianti produttivi.

Ma il template non sembra essere agevolmente utilizzabile, e quanti gestori di impianto saranno disposti a studiare una “Guidance document on CBAM implementation for installation operators outside the EU” di oltre 200 pagine in assenza di una qualsiasi responsabilità per quanto poi dichiareranno ai propri clienti europei? Quali accetteranno di conservare per almeno quattro anni i registri contenenti tutti i dati e i documenti giustificativi ai fini della determinazione delle emissioni, per metterli a disposizione del dichiarante su richiesta? Quale tutela contrattuale sarà necessaria per assicurarsi la collaborazione dei produttori extra-unionali?

L’impressione alla luce di queste considerazioni e guardando anche alla architettura del meccanismo definitivo, alla proiezione dei prezzi che verranno imposti per l’acquisto dei certificati CBAM, all’entità delle sanzioni ma soprattutto alla difficoltà pratica dell’implementazione del sistema così per come è disegnato, è che più che l’ambiente ne usciranno giovate le casse dell’Unione Europea, con buona pace delle aziende importatrici unionali, dei consumatori sui quali verranno riversati i maggiori costi e soprattutto della salute del nostro pianeta.

Ma non è detta l’ultima parola: le elezioni europee sono imminenti e dai risultati delle votazioni dipenderà anche il futuro della politica ambientale unionale. Ai posteri l’ardua sentenza…

 

Giulia Cicheri

Dal 31 gennaio nuovi documenti obbligatori per esportare nel Regno Unito

Il Border Target Operating Model (BTOM), pubblicato dal Regno Unito la scorsa estate, contiene la disciplina dei controlli alle frontiere dei beni in importazione, provenienti dall’Unione Europea o da altri Paesi terzi.

Il nuovo sistema prevede, tra l’altro, la classificazione dei prodotti sottoposti a controlli sanitari e fitosanitari (quindi animali vivi, prodotti di origine animale, vegetali e prodotti di origine vegetale) in categorie: alto, medio e basso rischio. L’inclusione in una categoria piuttosto che in un’altra è direttamente relazionata alla tipologia ed intensità dei controlli alle frontiere, nonché all’eventuale obbligo di ottenere certificati sanitari.

Il 31 gennaio 2024 è stata attuata la prima delle 3 fasi previste dal BTOM per arrivare alla piena implementazione dei controlli: essa comporta l’obbligo di ottenere un certificato sanitario per le importazioni dall’UE di prodotti animali e vegetali a medio rischio, nonché di alimenti e mangimi (non di origine animale) ad alto rischio.

Gli importatori inglesi dovranno notificare l’importazione nel portale IPAFFS (al quale dovranno risultare preventivamente registrati) ed ottenere il CHED – Common Health Entry Document.

Per gli esportatori unionali diventano fondamentali i seguenti passaggi:

– Controllare se i prodotti da esportare nel Regno Unito rientrino tra quelli a medio e/o alto rischio per i quali è richiesta certificazione sanitaria. A questo scopo è utile consultare il seguente link: risk category of your commodity e confrontarsi con il proprio cliente inglese sugli obblighi previsti dalla normativa britannica ai fini dell’importazione

– In caso affermativo, ottenere il certificato sanitario previsto (veterinario o fitosanitario) attraverso il portale TRACES. Maggiori informazioni sono disponibili al seguente link: Certificati per esportazione. Tale certificato andrà poi messo a disposizione dell’importatore inglese.

Le successive fasi per l’implementazione dei controlli all’importazione prevedono:

• Dal 30 aprile 2024: controlli sia documentali che fisici su prodotti animali e vegetali a medio rischio;

controlli su prodotti vegetali, alimenti e mangimi di origine non animale ad alto rischio provenienti dall’UE. Per questi ultimi le ispezioni verranno effettuate in determinati punti di controllo situati alla frontiera (Border Control Post)

• Dal 31 ottobre 2024: per tutte le importazioni dall’Unione Europea diventeranno obbligatorie le c.d. dichiarazioni di sicurezza. Inoltre dovrebbe entrare in funzione il “UK single trade window”, che consentirà di semplificare i controlli all’importazione: sarà obbligatorio caricare sul portale documenti ed informazioni richieste, prima dell’arrivo della merce alla frontiera britannica

Per approfondire la tematica si consiglia la consultazione del BTOM al seguente link: BTOM

12° pacchetto di sanzioni alla Russia e nuovi obblighi per gli esportatori

Con il XII° pacchetto sanzionatorio nei confronti della Russia è stato introdotto nel regolamento (UE) n. 833/2014 il nuovo articolo 12 octies, che prevede una importante novità a carico degli esportatori di determinati prodotti a vario titolo coinvolti nell’azione militare dell’esercito russo in Ucraina.

Si tratta dell’obbligo di predisporre specifiche previsioni contrattuali che vietino ai propri clienti la riesportazione di tali beni in Russia o per un uso in Russia (la c.d. “clausola no Russia”). La clausola riguarda i prodotti vietati utilizzati nei sistemi militari russi rinvenuti sul campo di battaglia in Ucraina o critici per lo sviluppo, la produzione o l’uso di tali sistemi militari russi, nonché i beni e le armi del settore aeronautico.

Il nuovo obbligo coinvolge la vendita, fornitura, trasferimento o esportazione verso qualsiasi destinazione extra-UE, eccezion fatta per i Paesi partner elencati all’allegato VIII (attualmente solo Norvegia e Svizzera, ma è probabile un allargamento ad altri Paesi like minded).

Ma quali sono i beni e le tecnologie assoggettati a tale nuovo obbligo?

Sicuramente le armi da fuoco e munizioni elencate nell’allegato I del regolamento (UE) n. 258/2012, nonché quelle richiamate all’allegato XXXV del regolamento (UE) n. 833/2014; a queste vanno aggiunte le merci elencate nell’allegato XI (adatte all’uso nell’aviazione o nell’industria spaziale) e XX (carboturbi e gli additivi per carburanti).

Ma, soprattutto, vanno richiamati i “prodotti comuni ad alta priorità” elencati nel nuovo allegato quaranta (XL): si tratta di merci di larghissimo uso comune quali ad esempio circuiti integrati elettronici (comprese le memorie), convertitori statici, cuscinetti a sfere e rulli, spine e prese di corrente per una tensione uguale o inferiore a 1000 V, strumenti e apparecchi di misura e controllo e tanti altri. I prodotti sono individuati all’interno dell’allegato tramite codice doganale a 6 cifre, perciò ancora una volta va ribadita l’estrema rilevanza di una corretta classificazione della merce.

Il divieto di riesportazione dovrà obbligatoriamente risultare dalle pattuizioni contrattuali a decorrere dal 20 marzo 2024, ma è fatta salva l’esecuzione fino al 20 dicembre 2024 dei contratti conclusi prima del 19 dicembre 2023. Tali pattuizioni contrattuali dovranno anche includere “rimedi adeguati” per il caso di violazione dell’obbligo di riesportazione (violazione che dovrà essere immediatamente segnalata dall’esportatore all’autorità competente dello Stato membro in cui egli è stabilito).

Sugli Stati membri ricadono obblighi di reciproca informazione, nonché di segnalazione alla Commissione, riguardo a casi individuati di violazione o elusione degli obblighi contrattuali sopra citati.

L’articolo 12 octies comporta una rinnovata due diligence, in particolare a carico di quegli esportatori che lavorano abitualmente su conferma d’ordine o sulla base di pattuizioni concluse via mail: per essi sarà fondamentale adeguarsi alle nuove previsioni predisponendo specifiche clausole contrattuali espresse, da produrre alle autorità competenti in caso di controllo (per non incorrere nelle pesanti conseguenze previste per la violazione di una misura restrittiva unionale).

A questo scopo, e in generale per una miglior comprensione e applicazione del XII° pacchetto sanzionatorio, si attendono le FAQ della Commissione aggiornate nonché la nuova versione consolidata del regolamento (UE) n. 833/2014, le cui previsioni appaiono quantomai caotiche e difficili da coordinare alla luce delle numerose modifiche ed integrazioni e delle diverse versioni linguistiche.

Per approfondimenti scrivere a: [email protected]

Giulia Cicheri

Art. 303 TULD: istruzioni per l’uso…

In attesa della promessa riforma dell’art. 303 del D.P.R. 43/1973 (che dovrebbe finalmente vedere la luce in virtù della legge delega per la riforma fiscale), tanto l’Agenzia delle Dogane quanto la Corte di Cassazione sono intervenute a precisarne il perimetro di applicabilità, in considerazione sia del preminente principio di proporzionalità della sanzione doganale di cui all’art. 42 del CDU, sia della definizione di “diritto doganale”, essenziale ai fini della determinazione dello scaglione sanzionatorio.

Da un lato, con la circolare n. 25/2023 l’ADM (sulla scorta delle numerose censure operate dalla giurisprudenza di merito in sede di contenzioso) ha precisato le modalità di calcolo della sanzione in caso di dichiarazioni contenenti più articoli, prendendo in parte le distanze dalla nota protocollo n. 16407/RU del 09/02/2015 dell’allora Direzione Centrale Legislazione e Procedure Doganali.

Dall’altro lato, la Suprema Corte con la sentenza n. 24788/2023 ha definitivamente chiarito come l’IVA all’importazione costituisca un tributo interno, in quanto tale non rientrante nella nozione di “diritto di confine” e quindi non computabile ai fini del calcolo della sanzione doganale.

Combinando le indicazioni ricavabili da entrambi i contributi, cerchiamo di riassumere le “istruzioni” per una corretta applicazione dell’art. 303 TULD, prendendo come caso una dichiarazione con più articoli.

Per prima cosa si dovrà verificare se i diritti complessivamente dovuti sulla base dell’accertamento effettuato superino o meno il 5% dei dazi dichiarati. Per effettuare correttamente tale comparazione, si tenga presente:

– che non devono essere presi in considerazione i “nuovi” singoli (o l’incremento di singoli già esistenti) emersi a seguito dell’accertamento, qualora non abbiano comportato maggiori diritti dovuti;

– che non va computata in nessun caso nel calcolo l’IVA all’importazione.

Il passo successivo è individuare la norma sanzionatoria da applicare: se la differenza tra quanto accertato e dichiarato non supera il 5%, si applicherà il primo comma dell’art. 303 TULD (sanzione da 103 a 516 €). In caso contrario, la sanzione dovrà essere determinata sulla base degli scaglioni previsti dal terzo comma del medesimo articolo.

In entrambi i casi andranno individuate tante violazioni quanti risultano essere i singoli che hanno concorso a determinare l’eccedenza, ma la sanzione da applicare a fronte di plurime violazione sarà comunque unica, individuata attraverso l’applicazione della regola del cumulo giuridico di cui all’art. 12, comma 1 del D. lgs. n. 472/1997, ossia la sanzione più grave aumentata da un quarto al doppio.

Ma attenzione: essendo tale regola ispirata al principio del favor debitoris, qualora dall’applicazione al caso concreto della regola del cumulo materiale (cioè tante sanzioni quante sono le violazioni) risultasse un trattamento più favorevole per il debitore, sarà quest’ultimo a prevalere.

In definitiva, se l’applicazione del cumulo materiale in base alla citata nota n. 16407/RU del 2015 è stata finora considerata la regola (determinando talvolta l’irrogazione di sanzioni palesemente sproporzionate nel loro complesso rispetto al disvalore delle violazioni commesse), risulta ora chiaro come essa rappresenti una eccezione, da applicare solo se in concreto più favorevole all’autore della violazione.

La circolare n. 25/2023 contiene anche numerosi esempi concreti, validi per chiarire la corretta applicazione di tale principio.

Giulia Cicheri

Circolare n. 23/2023: la dogana pubblica le istruzioni per i controlli

Con la Circolare n. 23/2023 del 17 Novembre 2023 l’Agenzia delle Dogane e Monopoli ha inteso chiarire le modalità applicative dell’art. 194 CDU, in particolare per il caso in cui la dichiarazione presentata alla dogana sia oggetto di una verifica che non possa essere ultimata in termini ragionevoli, ma al contempo la presenza delle merci oggetto di tale dichiarazione non risulti più necessaria ai fini del perfezionamento dei controlli.

Ciò che viene sottolineato nella circolare è prima di tutto il fatto che il funzionario doganale non abbia piena discrezionalità nell’esecuzione dei controlli, ma risulti INDIRIZZATO dai profili di rischio evidenziati dal Circuito Doganale dei Controlli (che non devono in alcun caso essere condivisi con gli operatori economici), e VINCOLATO in ordine alla TIPOLOGIA di controllo da eseguire (controllo documentale CD, controllo scanner CS o visita merce VM).

In quali casi, nell’ambito dell’esecuzione dei controlli selezionati, il funzionario è legittimato a trattenere la merce?

Sicuramente nel caso in cui le autorità doganali nutrano dubbi in ordine alla applicabilità di RESTRIZIONI o DIVIETI, e a tali dubbi non sia possibile dare risposta se non al termine dei controlli intrapresi (vedi art. 245 RE 2447/2015).

In queste ipotesi, i dubbi che possono giustificare il mancato svincolo devono necessariamente essere correlati a quanto espressamente evidenziato nel profilo di rischio, oppure basarsi su fatti concretamente constatati al momento della verifica, in relazione alla documentazione esaminata e/o alla merce visitata (dei quali va fatta menzione nel provvedimento di diniego, pena l’impugnabilità dello stesso). In mancanza di questi presupposti non vi può essere motivazione a supporto del diniego di svincolo, che quindi può essere concesso ai sensi dell’art. 194 CDU.

Nei casi in cui lo svincolo non possa essere accordato e tenuto conto dei costi di magazzinaggio che l’operatore economico deve sostenere in attesa dei risultati degli accertamenti in corso, si invita l’Agenzia a valutare l’opportunità di utilizzare, qualora ne ricorrano i presupposti, la procedura prevista per le bollette di cauzione A20, e cioè procedere alla sospensione dello svincolo con contestuale affidamento alla parte della merce.

Importante è tenere presente che tanto la sospensione dello svincolo tramite bolletta A20 quanto la concessione dello svincolo ex articolo 194 CDU sono condizionate alla presentazione di una RICHIESTA FORMALE del dichiarante.

Al di là dell’applicazione dell’art. 245 RE (riferito a divieti e restrizioni), potrebbero sussistere elementi atti a far ipotizzare un importo di dazi effettivamente dovuti superiore a quelli indicati dall’operatore nella dichiarazione doganale. In questo caso lo svicolo della merce può essere concesso prima della conclusione dei controlli, ma a condizione che vengano pagati i diritti o costituita una garanzia a copertura dell’obbligazione potenziale.

Un altro concetto fondamentale sottolineato nella circolare è rappresentato dai limiti alla discrezionalità del funzionario nell’elevare il tipo di controllo selezionato: partendo dal presupposto che un controllo automatizzato CA, in quanto tale, non rientra nella sfera di tale discrezionalità, è prevista la possibilità di passare dal controllo documentale CD selezionato ad un controllo radiogeno CS (qualora in uso alla dogana) o, come più spesso accade, al controllo fisico delle merci VM.

Ma il funzionario, per poter innalzare il profilo di controllo, deve prima effettuare la verifica documentale prescritta e SOLO SE da tale verifica emergano dei profili CONCRETI di rischio o elementi di incongruenza, oppure se l’Agenzia sia a conoscenza di ulteriori elementi di rischio a livello locale, procederà in tal senso.

Per evitare un esercizio arbitrario della discrezionalità da parte del singolo addetto al controllo è previsto che l’elevazione sia subordinata alla preventiva autorizzazione di un superiore gerarchico (ad esempio un Responsabile di Sezione o di Reparto), al quale va presentata richiesta motivata, ancorché tramite mail.

Infine è importante il richiamo all’utilizzo dei “Report Soggetto Negativo al Controllo” RSNC. Attraverso di essi è possibile inserire nel Circuito Doganale di Controllo con profili soggettivi correttivi quegli operatori economici non AEO che siano stati più volte controllati con esito negativo (anche in rapporto al volume e al valore delle operazioni).

Ciò consente un abbattimento dei controlli determinati dai profili oggettivi su tali operatori economici, evitando così l’impiego di risorse per la verifica di profili di rischio in concreto non sussistenti e contribuendo all’aggiornamento del CDC.

Per concludere, rimane indefinito il concetto di termine ragionevole per la conclusione dei controlli, che rappresenta uno dei presupposti fondamentali per la concessione dello svincolo ai sensi dell’articolo 194 CDU. In assenza di indicazioni precise, si potrebbe far riferimento ai termini previsti dall’art. 20 DL n. 169/2016 (un’ora per il controllo documentale e 5 ore per il controllo fisico delle merci).

Giulia Cicheri